venerdì, dicembre 12, 2008

Il sorriso della prigioniera




Il libro, dal titolo, "Prigioniera di Teheran" di Marina Nemat è uscito in Italia lo scorso anno, per i tipi della Cairoeditore. L'idea di parlarne ora è suggerita dal fatto che ho incontrato di persona l'autrice durante il convegno organizzato dall'Università del secondo Rinascimento a Villa Borromeo a Senago (Mi), durante il quale sono intervenuti decine di scrittori e intellettuali in gran parte dissidenti.


Dopo una chiacchierata-intervista con l'autrice, che ora vive in Canada, ho deciso di leggere il libro, incuriosito dalla trama e anche colpito dalla personalità e dalla disponibilità della scrittrice nel comunicare con l'interlocutore che aveva di fronte.

La trama la potrete trovare su altri siti, è semplice, basta saper usare google. Io invece vorrei scrivere alcune impressioni personali che ne ho ricavato dalla lettura. Dico solo, in breve, che cosa racconta questo libro: Iran, una fredda sera di gennaio 1982 i guardiani della Rivoluzione arrivano a casa di Marina per arrestarla. Il racconto rievoca gli anni belli e spensierati della ragazza, i primi amori, le simpatie, l'incontro con gli altri ragazzi, il rapporto, non bellissimo, con i genitori. Senza quasi un perché Marina si trova in una cella di Evin, che è la famigerata prigione di Teheran dove si soffre, si viene torturati e si muore. Lì, Marina, infatti, avrebbe dovuto trovare la morte, invece viene salvata da una delle guardie. E' un uomo, che appartiene ad un'altra fede religiosa e che si innamora della ragazza.

Non rivelo altro, altrimenti non c'è gusto nella lettura che consiglio a tutti. Marina accompagna il lettore nella sua storia come se lo tenesse per mano. Il lungo racconto è un'Odissea dove troviamo le molteplici sfaccetture di una vita intensa, ricca di episodi, straordinaria e drammatica nel suo dipanarsi all'interno di quella storia scritta con la S maiuscola. Così che questa storia, per chi legge, assume subito il carattere dell'intimità. Come se, Marina, fosse nostra sorella.

Come fa questa scrittrice a trovare la chiave per entrare "nelle grazie" del lettore? Non so rispondere bene, ma intuisco, semplicemente, che abbia usato l'arma della semplicità.

1. Anche nel dramma, Marina non ha mai esagerato. Ha scelto la misura non strillata delle parole. 2. L'impressione è che abbia svelato tutto di sè, si è radiografata, facendo conoscere le proprie paure, i sentimenti, la gioia e il dolore che provava.

Attenzione: la scrittrice parla, fra l'altro, in questo romanzo, di uno dei posti peggiori della terra, ovvero questa terribile prigione di Evin, dove violenze, torture e sevizie erano all'ordine del giorno. Eppure, in questo dramma, sembra che Marina non perda mai, comunque, un sorriso, un'attesa per la vita e le cose buone che promette. Del resto questo dichiara anche nel libro, dicendo che, malgrado tutto il male che ha visto, la fede è una promessa di bene, è per un bene.


Una parte importante della biografia , e quindi del suo libro, riguarda la sua giovinezza. Marina abita in Iran, un Paese islamico, ma è una cristiana ortossa: la tradizione occidentale emerge prepotentemente nei libri che divora fin da piccola. C'è la cultura dell'Occidente: Peter Pan, Alice nel Paese delle Meraviglie, La sirenetta. La regina delle nevi, il soldatino di latta, Cenerentola, La bella addormentata nel bosco, Hansel e Gretel, Raperonzolo, ed anche Il Leone, la strega e l'armadio. Sono particolari, ma importanti.

La narrazione procede a intreccio, gli anni della giovinezza con quelli della detenzione, un espediente, una tecnica, che contribuisce a rendere ancora più potente il materiale narrato. Le due ere, prima e dopo, si fronteggiano e si amalgamano.

Sul tono delle parole: dovessimo immaginarle come pennellate sono quelle dei maestri che realizzano le icone russe, come se l'arte, sempre, dovesse essere obbedire alla Croce, al sacrificio.
Le icone ispirano serenità e suggeriscono l'idea del compimento.

Un sorriso, non urlato

Grazie Marina per non aver tenuto solo per te questa storia


- continua-




Biografia dell'autrice



Nata a Teheran (Iran) da una famiglia cristiana ortodossa, Marina Nemat, è stata recentemente in Italia per essere insignita del premio per i diritti umani del Parlamento Europeo. Ha ricevuto anche altri riconoscimenti in Europa; in Italia, lo scorso anno, ha ricevuto il Premio Fondazione Carical Grinzane Cavour per la Cultura Euromediterranea Seconda Edizione



Il suo merito è aver abbattuto il velo di silenzio che nonostante tutto continua a nascondere le violenze perpetrate in Iran dopo la Rivoluzione islamica ed aver raccontato la sua personale odissea nel carcere politico di massima sicurezza di Evin.



Nel 1982, tre anni dopo la vittoria della rivoluzione antimonarchica dell’ayatollah Khomeini, Marina Nemat a soli 16 anni viene arrestata e condotta nel carcere di Evin, destinato ai prigionieri politici condannati alla pena capitale. Scampata all’esecuzione all’ultimo minuto, viene rilasciata dopo due anni, due mesi e dieci giorni di detenzione in cui è sottoposta a torture fisiche e psicologiche. Sposatasi, a 26 anni si trasferisce con il marito in Canada dove risiede tuttora insieme ai suoi due figli e dove ha trovato la forza di raccontare la sua storia per denunciare torture e abusi subiti dai prigionieri politici in Iran. Vive a pochi chilometri da Toronto e non è mai più tornata in Iran.




mercoledì, dicembre 10, 2008

L'odissea di un vero dissidente quando il "dissenso" non esisteva



Dopo averne parlato anche il telegiornale, ecco un articolo sul Giornale a proposito della ripubblicazione italiana del testo "finalmente completo di Vita e destino di Vasilij Grossman (Adelphi, trad. C. Zanghetti, pagg. 830, euro 34). L'articolo è di Luca Doninelli, una riflessione acuta e non scontata, (è uno dei pregi che ha Doninelli) di uno dei più grandi capolavori della letteratura.


P.s. Il titolo del post è rubato a quello usato per l'articolo apparso sul Giornale.