giovedì, ottobre 05, 2006

Crisi coniugale

Il mio medico di base assomiglia a una tartaruga. E' molto basso, quando l'incontro nella mia via, si trascina vicino al muro, dietro a sé ha un paio di figli che porta alle feste di compleanno o da amici.
Quando lo incrocio mi fa una visita veloce, guardandomi negli occhi. In genere sto bene (per fortuna), e basta un “buon giorno, come sta”.
“ E io: "bene, grazie”. Se invece mi sento costipato azzardo un “la stavo per chiamare, ha tempo?”.
"Passi a trovarmi in studio". Poi l’ho chiamato sul cellulare per fissare un appuntamento, come prevedono le regole d’ingaggio con il proprio medico di fiducia.
“Vediamo, domani mattina non posso”. “E io non posso nel pomeriggio”.
“Facciamo allora mercoledì”. “Mercoledì? Mercoledì avrei un impegno”.
“Sa, io faccio mezza giornata in studio”.
“Ma io quando sto male, sto male. Mi capita persino di stare male tutto il giorno e talvolta anche la notte”.
Infine, ho ceduto alla sua proposta : “Va bene, allora facciamo mercoledì”.
Sono andato a trovarla nel suo studio, spero di non morire prima.
Il mio medico di base in realtà è una donna, ma io preferisco chiamarla “medico di base”.
Secondo me potrebbe lavorare bene anche dietro il bancone di una merceria, farebbe il suo bel figurone. Secondo me non ha proprio il fisico della dottoressa.
Nei avrei voluto sposare una, con gli occhiali da intellettuale e la puzza leggermente sotto il naso. Poi no, ho pensato: sarei stato sempre io ai fornelli, meglio fuggire dalle donne che non sanno cucinare. La mia dottoressa, comunque, è una brava persona; quando vado a farmi visitare nel suo studio mi analizza a distanza, con gli occhi e non si azzarda a palparmi la pancia come facevano una volta, vecchia scuola! Non crea imbarazzi, quindi, la mia dottoressa.
La mia dottoressa, un giorno, mi ha guardato di traverso. L’ho incrociata per caso nella mia via: avevo un dito gonfio e l'ha notato subito. Le tartarughe sono lente ma hanno una buona vista. Il fattaccio purtroppo era già successo ma non era andato da lei, né l'ho chiamata per un consulto telefonico. Mi son lasciato invece consigliare da mia moglie, e sono finito dritto al pronto soccorso. Ci sono andato da solo, con la mia automobile. Al pronto soccorso.
L'ungherese è rimasta a leggere a casa. Per fortuna l'ospedale non è molto lontano.
Ho dato subito la colpa a mia madre che non mi ha insegnato il nome preciso delle dita della mano e a che cosa servono. Indice, pollice, medio, anulare: adesso mi son fatto una cultura su questi argomenti ma quando è successa quella cosa terribile, non avevo le idee chiare. Per farla breve, mi è capitato di indossare la vera sul dito sbagliato, è finita dritta infilata nel medio, senza che me ne accorgessi. Il dito naturalmente s'ingrossò. Provai con il sapone. Ne misi tanto sul dito, ma l'anello non usciva.
Il medio divenne rosso e poi viola. Il dito medio non serve a nulla, non ha nessuna funzione specifica da quanto mi è dato a sapere. Serve solo in certi casi per favorire i disastri. Le disgrazie conducono alla filosofia.
Insistei con il sapone per oltre mezz'ora, di nascosto senza farmi scoprire da mia moglie perché per lei ogni accenno di malattia diventa una tragedia! Giravo e rigiravo ma l’anello non usciva e il dito da rosso divenne violaceo, dello stesso colore del mosto. Forse il medio serviva all’uomo africano, da cui tutti noi deriviamo. Essendo il più lungo lo usava per lavoretti delicati, all’interno della sua grotta.
Cercai su internet un rimedio al mio problema – lasciando ad altri risolvere i grandi enigmi sull’ antropologia - e trovai un sito dedicato ai singles con i consigli della mamma, tipo come farsi il nodo della cravatta, stringere bene le stringhe delle scarpe, e via di questo passo. Alla voce “disgrazie” non trovai ciò che cercai, allora provai con il motore di ricerca. Digitai piano, senza farmi sentire: anello nuziale. “Nessun risultato”. Provai solo anello. E la risposta era: “Recarsi al pronto soccorso”.
Mia moglie già dormiva. Facendo gli esami del sangue, ha circa 39 di ematocrito, si stanca presto. Io con 49 potrei partecipare al Giro d’Italia e non sfigurerei ma se supero i 50 mi bloccano per sospetto doping. Giuro che non ho mai preso eritoproietina e, tranne qualche omogeneizzato che mi hanno mai fatto ingurgitare i miei genitori, non ho mai assunto sostanze stimolanti. Dunque mia moglie dormiva e di brutto.
Andai al pronto soccorso. Recarsi in ospedale di notte è una brutta faccenda. Pensi che gli altri si stanno divertendo o si riposano beati nel letto, mentre tu sei alle prese con qualche accidente e te la dovrai cavare davanti a gente che non conosci, medici di primo pelo, infermiere cinquantenni, specialisti assonnati e magari ti potrebbe capitare di assistere all’arrivo di qualche delinquente ferito in una sparatoria con la polizia. C’è buio. Nei corridoi dei pronti soccorso regna il buio, poi devi leggere attentamente i cartelli ma è un controsenso perché se stai male hai già perso la lucidità necessaria a capire i messaggi testuali. Ci vorrebbe uno psicologo con il compito di accogliere tutte le persone che bussano alla porta di un ospedale pubblico. Ma è troppo costoso. Lo stato ha deciso di sprecare il denaro in altri modi.
Quando entrai al pronto soccorso vidi delle linee di diverso colore. Forse tre o quattro, ora non mi ricordo bene il numero. Se eri un malato grave dovevi stare su quella rossa. Rossa ? Sì, mi sembra rossa. Se eri “mediamente grave” ti dovevi accontentare della blu. Ma sarà stata blu? Mi dovetti accontentare della verde. E fu la mia rovina. Con la verde sei accontentato ad attese lunghissime perché il caso non è urgente..
Prima arriva una dottoressa, giovane sui trent’anni.
Mi chiede che cosa ho e se sento dolore. Accertata la non gravità della faccenda, mi dice di aspettare con calma. Io che sono una persona di natura tranquilla, messo in certe situazioni divento inquieto. Sbircio a destra e a sinistra. Mi alzo e provo a buttare uno sguardo dentro ad un locale che improvvisamente si apre alla vista. Vedo un altro corridoio illuminato bene e un paio di chirurghi con la loro divisa verde che escono da una stanza. Ma è un attimo perché le porte si chiudono velocemente. Mi siedo di nuovo. Passa un malato sulla lettiga, dietro un paio di parenti mediamente trafelati. Penso che abbia avuto un incidente stradale. Trascorsa mezz’ora, arriva un’altra dottoressa. E’ sulla quarantina ed è splendida. Non ha un etto di ciccia fuori posto e il camicie bianco le fa risaltare le sue belle forme di donna matura. Mi chiede “che cos’ha?”.
Le spiego che mi fa male il dito perché l’anello dovrebbe stare sull’anulare e non sul medio. Mi guarda perplessa. Capisco. Io avrei fatto altrettanto. E’ bionda, quel tipo di biondo che piace agli uomini. “Stia tranquillo, e aspetti”. Mi abbandonò al mio destino. Se avessi ascoltato il mio istinto l’avrei rincorsa per tutto l’ospedale, solo per stare un po’ accanto a lei. E io invece mi sono seduto di nuovo, per tradire il tempo guardavo le strisce colorate sul pavimento delle varie emergenze. Poi mi son fatto spiegare.
Le dottoresse passano a turno dai casi meno gravi, se nel frattempo non si aggravano vanno a occuparsi di quelli più disperati. Alla terza dottoressa, una bruna tracagnotta, decisi che era giunto il momento di fare la tragedia greca, non avevo più voglia di aspettare. Incominciai a stringere il dito di modo che diventasse ancora più viola. Presi la mano dolente e l’accostai forte sulla pancia al livello dell’ombelico. Quando la dottoressa giunse ad un metro, incominciai anche a lamentarmi, ne uscì l’imitazione straziante del miagolio di un gatto. La tracagnotta mi si accostò e mi disse: “ Su, non faccia così”. La guardai in cagnesco, smisi di lamentarmi. Mi prese sotto braccio e mi condusse dal medico di turno. Ci voleva tanto! Io feci molto attenzione a calpestare la linea verde disegnata sul pavimento. Quindi mi si fece incontro un’ infermiera dall’età indecifrabile, poteva avere quaranta come cinquant’anni e le spiegai per filo e per segno come mi procurai l’incidente. Mi ascoltava con interesse, alla fine era allibita. Nella stanza, un giovane medico armeggiava con gli attrezzi del mestiere. Notai chiaramente la tendina dove la gente si spoglia, lontano dagli occhi degli altri. Mi resi conto che era un oggetto importante in quel trambusto che di solito è il pronto soccorso. Per fortuna era notte e non trovai quasi nessuno.
Il medico era di primo pelo ma sapeva il fatto suo. Giovane e sportivo, sul metro e ottanta, mi diede un’occhiata veloce. La sua espressione era neutra, professionale. Forse era abituato a ben altro, il mio incidente per lui non era che una bazzecola. Prese una lunga tenaglia, una di quelle che si usano in sala operatoria, e recise deciso il mio anello.
Ero libero! Il sangue tornò a scorrere, il dito riprese il suo colore naturale. L’anello era spezzato in due parti. L’infermiera mi guardò con aria di compatimento. Il medico uscì in corridoio a telefonare alla fidanzata. Uscii umiliato ma soddisfatto di essermi liberato del problema”
Atomo a casa non se la cavò tanto facilmente.
“Ma come hai fatto? Ma è possibile che non sei capace di vivere tranquillo e ci deve sempre essere qualcuno che ti viene in tuo soccorso”.
Lui le fece notare che si era trattato di un semplice incidente, e che ciò non accadeva spesso. L’ungherese s’arrabbiò. “Non ti ho detto, forse, che l’anello va tenuto sempre al dito anche quando vai a nuotare nel mare? Non te lo devi mai sfilare, per nessuna ragione!” Mentre parlava, Atomo guardava in alto e talvolta in basso con aria assente. E questo accadeva spesso quando una persona lo riprendeva. Fra una alzata e un’altra di capo decise che avrebbe dovuto recarsi dal gioielliere per far ricomporre l’anello. Il negozio era un buco in cui i clienti facevano fatica ad infilarsi gestito da una coppia di anziani tracagnotti prossimi alla pensione. Dal fare circospetto dell’uomo si capiva che aveva una pistola dietro il bancone di quelle che si usano per legittima difesa.
Quando entrò nel negozio capirono al primo sguardo che non avrebbe mai fatto male ad una mosca, più facile il contrario. Si rilassarono e iniziarono a sputare addosso ad Atomo le loro verità, i loro giudizi, taglienti come una pallottola. “Ma lo sa che non si abbandona mai l’anello di matrimonio?” Capirai, erano gente all’antica. “Comunque non si preoccupi, fra due settimane l’avrà indietro come nuovo, però spariranno le lettere e le cifre impresse all’interno”. Preso il cazziatone dai gioiellieri, rimproverato dalla moglie, abbordato e salutato dal titolare dell’onoranze funebri del quartiere, Atomo, sconfortato, andò a giocare al lotto.
E poi, si accese anche una sigaretta.

lunedì, ottobre 02, 2006

Malabrocca non era un brocco


Se ne è andato Malabrocca. Pensavamo fosse una leggenda, una storia lontana. E invece la maglia nera, fino a pochi giorni fa, era ancora fra di noi. A 86 anni ha tolto il disturbo, e con lui si chiude un'epoca, una storia, un certo tipo di ciclismo, forse demodé, ma romantico; romantico solo come una fiaba impastata di nostalgie.
Luigi Malabrocca era di quelli che si nascondeva nei fienili per sfuggire all'avversario, per arrivare proprio ultimo, dietro a tutti e comunque, entro il tempo massimo.
La maglia nera doveva essere capace di andare piano, ma anche andare forte, quando serviva. E così in carriera vinse più di cento corse, ed anche classiche come la Coppa Agostoni nel 1948. Diventò maglia nera per fame, al fine di guadagnare. Il trionfo in questa speciale classifica significava contratti nei circuiti post-giro, notorietà, la firma di altri contratti.

Per chi volesse sapere più cose su queste pagine davvero speciali del ciclismo potrebbe leggere il libro" Coppi, Bartali, Malabrocca e Carolo, a cura di Benito Mazzi, della Ediciclo Editore. http://www.ediciclo.it/catalogo/news/index.htm