Giuliano Ferrrara, direttore de Il Foglio ha letto l'ultimo lavoro dello scrittore Philip Roth, (“Everyman”, Einaudi, euro 13,50) uno dei narratori americani viventi più seguiti e apprezzati. Insuperabile resta il suo capolavoro "Il Lamento di Portnoy".
Ferrara ha recensito la sua ultima opera, restandone profondamente colpito. Così ne ha scritto sul suo Foglio: "Prendi un americano qualunque, everyman, e raccontalo come ha fatto l'ultimo Philip Roth a partire dal suo funerale, riaprendo la sua vita dall'infanzia in una specie di resurrezione atea, e poi su su per matrimoni, figli, divorzi, tradimenti, dolore, sesso e malattie.
Mettici il nostro dio qualunque che c'è e non c'è, le stelle, il buio, le maree, il bagno nell'oceano, il rumore sordo del corpo che invecchia, gli amici che se ne vanno tra una battuta e l'altra, l'incomprensibile tragedia dell'esistere senza senso e del morire senza senso vista attraverso la vita e la morte degli altri, il suicidio di chi soccombe alla sofferenza, la malinconia e la bontà di chi ti è caro e a cui tu sei caro, e soprattutto il senso di colpa maschile cercato e trovato infallibilmente nell'erezione, nella bugia, nel dominio sentimentale qualunque (...)"
"L'età - rileva Ferrara - ha piegato l'ironia di Roth, grande scrittore ebraico-americano che dopo tanta sciupata vitalità ha scritto un suo magnifico e severo testamento provvisorio, da riscrivere mille volte imitando il suo qualunque eroe, il suo everyman, come aveva fatto Mordecai Richler, grandissimo scrittore ebraico-americano, nella sua indimenticabile “Versione di Barney”. (...) Roth è poeta del corpo, lo si sa dal suo “Lamento di Portnoy”, e la sua misura non è la religione anche incredula, ma sempre devota, bensì la psicoanalisi, l'irrisione moderna dell'idea ebraica e cristiana che il padrone sia fuori di noi. Roth disprezza i rabbini, Richler li imita".
Poi "Giulianone" apre sull'attualità, il tempo presente. Ed è un gran fendente. "Per essere un paese qualunque anche il nostro, che parla quasi solo di terapia ed eutanasia e di fitness, di accanimenti sul corpo e sofferenze senza senso, di amori di coppia e diritti mescolati in una logica di provvisorietà coatta dell'amore, di mancate promesse, di contratti fatti per essere di-sfatti il più facilmente e il più rapidamente possibile, di figli che non si attendono ma si fanno, si fabbricano a piacere come si aboliscono a piacere, però con molto dispiacere, questo racconto di Roth dovrebbe vendere un sacco di copie e far piangere un sacco di uomini e donne, particolarmente nella generazione che ora regge le sorti del mondo politico e morale, della sua legislazione, della sua educazione, della sua condotta civile"(...).
Mettici il nostro dio qualunque che c'è e non c'è, le stelle, il buio, le maree, il bagno nell'oceano, il rumore sordo del corpo che invecchia, gli amici che se ne vanno tra una battuta e l'altra, l'incomprensibile tragedia dell'esistere senza senso e del morire senza senso vista attraverso la vita e la morte degli altri, il suicidio di chi soccombe alla sofferenza, la malinconia e la bontà di chi ti è caro e a cui tu sei caro, e soprattutto il senso di colpa maschile cercato e trovato infallibilmente nell'erezione, nella bugia, nel dominio sentimentale qualunque (...)"
"L'età - rileva Ferrara - ha piegato l'ironia di Roth, grande scrittore ebraico-americano che dopo tanta sciupata vitalità ha scritto un suo magnifico e severo testamento provvisorio, da riscrivere mille volte imitando il suo qualunque eroe, il suo everyman, come aveva fatto Mordecai Richler, grandissimo scrittore ebraico-americano, nella sua indimenticabile “Versione di Barney”. (...) Roth è poeta del corpo, lo si sa dal suo “Lamento di Portnoy”, e la sua misura non è la religione anche incredula, ma sempre devota, bensì la psicoanalisi, l'irrisione moderna dell'idea ebraica e cristiana che il padrone sia fuori di noi. Roth disprezza i rabbini, Richler li imita".
Poi "Giulianone" apre sull'attualità, il tempo presente. Ed è un gran fendente. "Per essere un paese qualunque anche il nostro, che parla quasi solo di terapia ed eutanasia e di fitness, di accanimenti sul corpo e sofferenze senza senso, di amori di coppia e diritti mescolati in una logica di provvisorietà coatta dell'amore, di mancate promesse, di contratti fatti per essere di-sfatti il più facilmente e il più rapidamente possibile, di figli che non si attendono ma si fanno, si fabbricano a piacere come si aboliscono a piacere, però con molto dispiacere, questo racconto di Roth dovrebbe vendere un sacco di copie e far piangere un sacco di uomini e donne, particolarmente nella generazione che ora regge le sorti del mondo politico e morale, della sua legislazione, della sua educazione, della sua condotta civile"(...).
Gran libro irreligioso e orgoglioso - chiosa Ferrara - che segnala la sconfitta irrimediabile della fede del nostro tempo, la fede nel corpo.
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